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Etude pour la Sainteté.

Erika di Crescenzo

 

Negli ultimi tre anni, ho viaggiato molto. Talvolta arrivavo a Torino la sera e ripartivo l’indomani mattina cambiando la valigia al volo.
Mi spostavo tra Parigi, Ginevra, Londra, Cagliari, Berchidda, poi la Calabria e Torino, ed ancora Cannes, La Napoule, l’India ecc..
Un cammino attraverso residenze, spettacoli, sguardi liberi, libri, montagne e metro, aereoporti, persone, treni, mare e città, e molta solitudine.
Così è nato il mio ultimo lavoro intitolato “Etude pour la Sainteté”, approdato al Festival TorinoSpiritualità – settembre 2011.

Studio per la Santità è una quasi farsa che esplora il confine tra santità e follia. Un sacro scherzo dove il dolore è più forte che reale.

Dove la messainscena, sul filo dello scandalo, è il luogo della rappresentazione isterica, erotica e commovente insieme.

 

Il tema iniziale da cui è partita la ricerca è stato il tentativo, nella sua accezione più ridicola e struggente.

Successivamente la riflessione si è spalancata sui temi dell’isteria, della solitudine, del femminile e della sessualità fino a trovare una sintesi di tutto nel corpo e nella danza.

“Sull’orlo della tomba danzava la sua commedia con una gioia che le impediva di scorgere il baratro”. Così scriveva Bataille discutendo l’ Erotismo.

E’ infatti fondamentale la riflessione sul corpo e la sua relazione con la santità. Un corpo messo a nudo, danzato e dichiarato come la più onesta offerta del sé. Offerto come l’unico dono possibile.

Un corpo intermittente e traboccante di sensualità, di gesti, di parole non ancora compiute e che procede per tentativi, ammiccamenti, provocazioni. Che urla il suo richiamo ad essere amato nella propria condizione di solitudine e di esclusione.

E’ attraverso il corpo che si gioca il rapporto con un altrove, lo sposo – il padre – dio, bramato senza riserve, preteso anche nella simulazione isterica o nelle estasi delle sante.

Chi raccoglieva quella supplica mentre i giorni trascorrevano in completa solitudine, in totale oblio di se, lo sguardo rivolto lassù? Cento volte quell’attesa fu ingannata.

L’estasi arrivava ed era tetania, paralisi, mancanza. Poi riaperti gli occhi, interrogava lo sguardo di fronte chiedendo veemenza, fomentando il desiderio, promettendo l’aldilà, sfidando l’autorità ed immancabilmente ritornava ad essere il n° x12345 dell’ospedale La Salpetriere di Parigi dove il medico Charcot (maestro di Freud) svolgeva una delle più importanti ricerche mediche sul carattere isterico. Lei solo godeva così dolorante, colpevole per aver troppo desiderato, per essere stata altrove, fuori ordine, fuori comando.

Augustine era un’isterica entrata a tredici anni in ospedale, ed era la preferita di Charcot, il quale la considerava troppo ingenua per fingere le crisi. Augustine era continuamente visitata, nell’utero, negli occhi, nel sonno, non solo dai medici dell’ospedale ma anche dai curiosi che venivano ad assistere alle lezioni del martedì pomeriggio che Charcot svolgeva in anfiteatro. Augustine acconsente, annuisce, si esibisce come le tigri al circo. E perpetua le sue crisi, che le procurano tanta notorietà. Finché in ultimo, a circa sedici anni, una notte si traveste da uomo e salta oltre le mura. Di lei nulla si è più saputo, se non del suo coraggio di interrompere quel circolo vizioso.

Il senso è nel corpo, anche nell’incontro con l’altro. L’altrove è l’altrui. Il toccare, il lasciarsi toccare. L’essere toccati, una carezza che si trattiene dall’afferrare e non diventa né appropriazione né identificazione, né distruzione. Il toccare è comunità.

Il senso è nella danza, che svolge il corpo al di là del tempo e dello spazio.

 

 

 

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